Documental para los 25 años de la Fundación: 'La Fleur': Josep Carreras y la lucha contra la leucemia (1/2)

La fleur è simbolo di come la vita di Don José cambierà radicalmente una volta essere rimasto stregato da Carmen nell'omonima opera di Bizet. Diventa simbolo del destino, della speranza in un amore per il quale ha sacrificato tutta la sua vita, compreso sé stesso fino all'autodistruzione. Josep Carreras, come sottolinea dapprima lo stesso David Giménez, è stato il migliore Don José della storia, per aver saputo coniugare alla perfezione drammaticità e romanticismo, entrambi dettagli salienti del carattere del personaggio: anche Jonas Kaufmann, Anna Netrebko e Plácido Domingo mettono in rilievo le peculiarità della sua interpretazione magistrale, corretta e mai eccessiva, che mostra come questo ruolo sembra stato pensato apposta per lui. Tuttavia, come la vita di Don José è stata stravolta dal destino metaforicamente indicato con il fiore che Carmen gli aveva lanciato, Josep Carreras, il Don José per eccellenza, identifica quel fiore, quella sfida che gli ha lanciato il destino, nella diagnosi di leucemia linfoblastica acuta ricevuta a Parigi il 14 luglio del 1987. Ad ogni modo, questo fiore non è da connotarsi negativamente poiché, come nel suo caso, si è rivelato simbolo di speranza che ha notevolmente trasformato ed arricchito il suo futuro, mostrandogli che la stessa vita che inizialmente era in grave pericolo, avrebbe potuto indicargli altre strade, forse più profonde, che avrebbe potuto affiancare a quella di una carriera gloriosa che fino ad allora lo aveva assorbito completamente.

Questa è la metafora dietro al titolo del documentario realizzato per la nuova campagna di sensibilizzazione "25 años luchando contra la leucemia" che la Fundación Josep Carreras, per mezzo del suo Presidente, ha presentato ieri mattina con una conferenza stampa presso il Saló dels Miralls del Gran Teatre del Liceu insieme a Xavier Bosch, direttore del documentario dal nome 'La Fleur' Josep Carreras contra la leucemia.

www.youtube.com (Trailer)

Questo documentario straordinario è stato proiettato per la prima volta ieri sera durante una cerimonia al Gran Teatre del Liceu per celebrare 25 meravigliosi anni di attività in cui la Fundación Josep Carreras ha lottato contro la leucemia: 1.800 persone hanno avuto il privilegio di assistere a questa prima così speciale, ma ad ogni modo la Fondazione ha voluto che tutti potessero avere modo di visualizzarlo in contemporanea e lo ha reso disponibile alla stessa ora presso il sito www.fcarreras.org dove lo trovate.



Si tratta della raccolta di testimonianze di pazienti, ex pazienti, genitori di pazienti, donatori... un ritratto poliedrico a partire dall'esperienza del protagonista, Josep Carreras, raccontata dallo stesso, da alcuni membri della famiglia, colleghi, medici, dirigenti della Fondazione e chi ha fermamente creduto nel progetto di crearla come il Presidente Felipe González. Alcuni dei partecipanti, che dal proprio luogo di origine raggiungono una località idilliaca per trascorrere insieme un pomeriggio d'estate, offrono un ritratto del tenore definendolo un non - divo, contrariamente a come si è soliti considerare i cantanti d'opera, colui che ha contribuito ampiamente a fare in modo che la leucemia non sia più tabù, l'esponente massimo del fatto che è una malattia dalla quale si può guarire.
Carreras è il primo a condividere la propria testimonianza, partendo proprio dalla diagnosi giunta in un soleggiato lunedì 13 luglio 1987 a Parigi, dove si trovava per girare il film La Bohème di Luigi Comencini, e dove quindi aveva iniziato a non sentirsi bene a causa di un'infezione a un dente. Pensava di risolvere la questione in breve con un check up ma i medici si erano visti costretti a trattenerlo in ospedale fino al terribile verdetto che il Prof. Jean Bernard, eminenza dell'ematologia francese dell'epoca, gli aveva rivelato nel giorno festoso della Presa della Bastiglia: sicuramente uno shock anche per un ignorante in medicina. Il Professor Ciril Rozman, ex-Vice Presidente della Fondazione e Patrono Onorario della stessa, spiega di seguito con parole molto semplici in cosa consiste la malattia e la grave forma, all'epoca denominata L3 che aveva colpito il tenore: una forma molto preoccupante in un uomo di 40 anni. 
Successivamente si presenta Alicia, paziente di leucemia con una voglia di vivere tanto intensa quanto erano i ritmi delle lezioni di pilates e flamenco che impartiva per sei ore al giorno. Già conosciamo Raquel, ex paziente, si definisce una sopravvissuta alla malattia: era stata uno dei primi casi di cui si era occupata la Fondazione nei primissimi anni 90, ora è un'infermiera presso l'Hospital Vall d'Hebron e si dedica a bambini affetti dalla stessa malattia. Dopo ancora Silvia e Julián, genitori del piccolo Leo raccontano il caso del loro bambino, colpito da due polmoniti estremamente ravvicinate poiché il midollo osseo non produceva difese immunitarie. Come spesso ha ripetuto Josep Carreras e come confermano gli altri testimoni, la prima reazione spontanea è chiedersi "perché a me?", se non addirittura rifiutarsi di credere che stia succedendo proprio a te per i primi 15 giorni, per poi rendersene conto veramente: a Raquel i suoi genitori avevano spiegato la situazione a modo loro, i genitori di Leo avevano creato un account su Twitter diffondendo la causa del figlio che a 9 mesi di vita cercava un donatore di midollo osseo, e Alicia tentava imperterrita di andare avanti con la propria vita finché un giorno non è più stato possibile.

Josep era stato subito raggiunto a Parigi dai suoi fratelli: il fratello Albert e il cognato Ramiro raccontano l'arrivo a Parigi, sottolineando come dal volto bianco si notasse che era gravemente malato, e in particolare facendo riferimento a quella prima notte che Josep aveva trascorso con suo fratello, per lui un rifugio e un costante punto di riferimento, ripercorrendo la vita che avevano trascorso insieme. Albert ricorda ancora con commozione quel discorso così intimo e profondo con il fratello, sul fatto che valeva la pena lottare e che avrebbero lottato. Era stato il medico di famiglia, il Dr. Jordi Permanyer a metterli in contatto con Ciril Rozman: il 18 luglio del 1987, non del '36 come puntualizza Josep, era stato portato all'Hospital Clínic di Barcellona presso il reparto di Ematologia guidato appunto da Rozman. Jonas Kaufmann e Plácido Domingo espongono il punto di vista di chi aveva appreso la tragica notizia dall'esterno, mettendo in rilievo la grande preoccupazione ed il timore che Carreras non sarebbe più tornato a cantare. 
Josep spiega come fosse perfettamente consapevole che si trattava di un caso al limite, ma di come parlare di possibilità di cura con i medici non gli facesse perdere mai la speranza: si inizia a perdersi d'animo non appena si riscontrava trasformata la propria fisionomia, quando si perdono i capelli e il corpo non risponde più; come sottolinea Raquel, tutto scompare quando ci si ammala.

Quando Josep si guardava allo specchio, in costante compagnia della sua macchinetta, gli passava davanti tutta la sua vita che in quei 40 anni era stata molto piena: una vita, quella del cantante d'opera, che come conferma anche Domingo è difficile perché ti obbliga a trascorrere molto tempo lontano dalla famiglia, dove i ritmi frenetici e le incredibili opportunità presenti in quei periodi dell'anno solitamente dedicati alle vacanze, ti portano a rimanere totalmente assorbiti dalla carriera. A detta del Dr. Rozman aveva risposto benissimo per un paziente della sua età alla chemioterapia, ma ben presto si sarebbe presentato il tema del trapianto di midollo. All'epoca il donatore poteva essere un fratello compatibile al 100%, o in assenza di questo un autotrapianto: per sdrammatizzare, Josep racconta agli altri testimoni che era talmente narcisista da sottoporsi ad un trapianto del proprio midollo. Come è noto, era stato trasferito al Fred Hutschinson, un Centro Specializzato di Seattle che prende il nome da un noto giocatore di baseball che perse la vita a causa del cancro: Rozman aveva preso accordi con il Prof. Edward Donnall Thomas, inviando a Seattle il Dr. Alberto Grañena che avrebbe partecipato al processo di estrazione del midollo. Seattle disponeva di un trattamento sperimentale che poteva rivelarsi fondamentale e che all'epoca non era ancora in commercio in Spagna: tuttavia, un motivo secondario che ha favorito il trasferimento a Seattle era la pressione mediatica cui Josep era sottoposto a Barcellona, con continue incursioni di giornalisti travestiti da infermieri che scattavano fotografie. Ramiro Giménez, cognato del tenore, racconta che un quotidiano aveva pubblicato in prima pagina la lunga agonia di Josep Carreras, quando nessuno aveva detto in realtà che avrebbe dovuto morire: anche per questo motivo, il Prof. Rozman considerava che la gente avesse diritto di sapere in merito a Carreras come cantante, ma non l'intimità della sua malattia, motivo per cui alla stampa è stata tenuta nascosta gran parte della verità. Capitava di tutto, tanto da costringere Albert Carreras a comportarsi come un membro della Security delle discoteche e non lasciar passare nessuno. 
A Seattle veniva seguito un protocollo preciso, l'unica attenzione particolare nei confronti di Josep era volta a preservare le corde vocali: certamente non aveva mai smesso di pensare alla voce, nonostante poi subentrino inevitabilmente altre priorità, in primis vivere. A Seattle, come rimarca David, aveva vissuto momenti molto duri durante il trattamento, ma che il suo atteggiamento verso la malattia si è rivelato determinante: sapendo però la durata approssimativa delle sessioni, tentava di far trascorrere quel tempo in modo più piacevole sussurrando qualche aria a seconda del timing, e una di queste era proprio La fleur que tu m'avais jetée; la musica aiuta lo spirito, e se lo spirito del paziente è rafforzato, sarà dunque in grado di combattere meglio contro la malattia. 
Parlando di musica, Raquel racconta che il suo idolo dell'epoca era Sergio Dalma, e come tale le dava una grande forza, la faceva sentire una privilegiata ogni volta che lo vedeva: segue una tenerissima lettera ad un nuovo idolo, Santi Balmes, e lo splendido incontro con lui nel camerino prima del suo concerto: Balmes le avrebbe poi dedicato una canzone.

Il passo successivo, è accertarsi che, come spesso accade, la leucemia non torni nonostante chemio e radioterapia: Josep aveva trascorso circa 50 giorni in una camera sterile per evitare il contatto con batteri che potessero mettere a rischio la salute; anche Raquel racconta la sua esperienza di bambina che, durante la sua permanenza in una camera sterile, non poteva semplicemente toccare i suoi genitori: solo avevano accesso medici e infermiere fino a quando aveva detto che non avrebbe più voluto essere lavata da nessuno se non dalla madre, e quando questo era avvenuto aveva significato una grandissima emozione per la bambina. I genitori di Leo ormai vivevano presso l'ospedale dove avevano creato un blog per condividere la propria storia e cercare un donatore compatibile per il loro figlio: non potendo toccare a terra, il bimbo ha imparato a camminare sul letto sul cui svolgeva qualsiasi altra attività in compagnia di pochissimi giochi disinfettati, e ha solo recentemente imparato a parlare poiché per parecchio tempo non ha potuto vedere la bocca dei genitori, coperta dalla mascherina. 
Un tempo la ricerca del donatore era paragonabile ad un avventura in un deserto, fino a che la Fondazione ha messo a disposizione le proprie armi per realizzare il programma REDMO che, come spiegano Josep Carreras e Antoni García Prat, Dirigente della Fondazione, è il Registro di Donatori di Midollo Osseo non imparentati, fondamentalmente un software che mette in relazione pazienti e donatori, 35 computer in tutto il mondo connessi tra loro il cui obiettivo è trovare un donatore per ogni paziente. Pascual Balsalobre, Coordinatore di Trapianti di Midollo Osseo presso l'Hospital Gregorio Marañon di Madrid, racconta che dal momento dell'estrazione, il midollo deve essere reiniettato entro un massimo di 72 ore, un tempo generalmente sufficiente per effettuare trasferimenti in Europa: il paese cui viaggia con maggior frequenza è la Germania.

(...)SEGUE NEL PROSSIMO POST DAL MINUTO 38(...)

ENGLISH:

The flower is a symbol of how Don José's life will radically change once he is bewitched by Carmen in the opera by Bizet. It becomes a symbol of fate, hope, a love for which he sacrificed his entire life, including himself leading to self-destruction. Josep Carreras, as pointed out by David Giménez himself, was the best interpreter of Don José in history, as he  combined perfectly his dramatic and romantic nature, both salient details of the personality of the character: even Jonas Kaufmann, Anna Netrebko and Placido Domingo highlight the peculiarities of his masterful interpretation, correct and never excessive, which shows how this role seems designed especially for him. However, as the life of Don José was turned upside down by fate metaphorically indicated by the flower Carmen had thrown him, Josep Carreras, Don José par excellence, identifies that flower, a challenge set by fate, in the diagnosis of acute lymphoblastic leukaemia he received in Paris on 13 July 1987. However, this flower is not to be regarded only negatively because, as in his case, it turned out to be a symbol of hope that has significantly transformed and enriched his future life, showing that the same life that initially was in danger, could show him other ways, perhaps deeper ones, which he could combine to his glorious career that until then had completely absorbed him.
This is the metaphor behind the title of documentary recorded for the new awareness campaign "25 years fighting against leukaemia", theat the Fundación Josep Carreras, through its President, presented yesterday morning with a press conference at the Salo dels Miralls of the Gran Teatre del Liceu along with Xavier Bosch, director of the documentary called 'La Fleur' Josep Carreras against leukaemia.
This extraordinary documentary was premiered last night during a ceremony at the Gran Teatre del Liceu to celebrate 25 wonderful years of activity in which the Fundación Josep Carreras has struggled against leukemia: 1,800 people had the privilege to attend the act, but the Foundation wished that everyone could have a chance to watch it in the same moment and made it available at 8pm at the site www.fcarreras.org where you can find it.
This is the collection of testimonies from patients, former patients, parents of patients, donors... a multifaceted portrait from the experience of the protagonist, Josep Carreras, told by himself, by some family members, colleagues, doctors, executive of the Foundation, and from who firmly believed in that project like President Felipe González. Some of the participants, who from their place of origin have reached an idyllic place to spend a summer afternoon together, offer a portrait of our tenor by describing him as a non - divo, as opposed to how it is usual to consider opera singers, as someone who has greatly contributed to make leukemia be no longer taboo, as the maximum exponent of the fact that it is a curable disease.
Carreras is the first to share his testimony, starting from that sunny Monday, 13 July 1987 in Paris, where he was shooting the film La Bohème by Luigi Comencini, and where, therefore, he began to feel ill because of an infection in a tooth. He thought to solve the matter breefly with a check up, but the doctors were to keep him in the hospital until the terrible verdict that Professor Jean Bernard, eminence of French hematology at the time, had revealed on the day of the French National Day: definitely a shock even for any ignorant in medicine. Professor Ciril Rozman , former Vice President of the Foundation and Honorary Patron, explains later with very simple words what the disease is and the bad form, then called L3 that had struck our tenor: a very worrying type in a 40 year old man. Then comes Alicia, leukemia patient with a desire to live as intense as are the rhythms of her flamenco and pilates classes she teaches for six hours a day. We already know Raquel, a former patient who defines herself a survivor of the disease: one of the first cases the Foundation analyzed in the early 90s, she is now a nurse at the Hospital Vall d' Hebron, and dedicates to children suffering from the same disease. After that, Silvia and Julián , parents of Leo, share the testimony of their boy, hit by two extremely close pneumonias since the bone marrow was not producing defences. As Josep Carreras often said and as confirmed by the other participants, the first spontaneous reaction is to ask "why me?", if not even refuse to believe this is happening to you during the first 15 days, to then realize it really: Raquel's parents had explained her the situation in their own way, Leo's had created an account on Twitter spreading the cause of their child who aged 9 months was looking for a bone marrow donor, and Alicia tried undismayed to move forward with her life until one day it was no longer possible.
Josep was immediately joined by his brother and sister in Paris: his brother Albert and his brother -in-law Ramiro tell their arrival in Paris, where they immediately understood he was seriously ill from his pale face, referring to that first night that Josep had spent with Albert, for him a refuge and a constant point of reference, revising the life they had spent together. Albert still recalls with particolar emotion such a deep and intimate speech with his younger brother, on that it was worth fighting and they would do it. 
It was the doctor of the family, Dr. Jordi Permanyer, who had put them in contact with Ciril Rozman: on 18 July 1987,  not '36 as Josep points out, he was brought to the Hospital Clínic of Barcelona at the Unit of Hematology guided precisely by Rozman. Jonas Kaufmann and Plácido Domingo expose the point of view of those who had learned the tragic news from outside, emphasizing the great concern and fear that Carreras would never sing back again. Josep explains how he was perfectly aware that it was a borderline case, but as soon as doctors talk about treatment options one must still hope; you begin to lose heart as soon as you realize your face is no longer the same, when you lose your hair and the body no longer responds to you: as pointed out by Raquel, everything disappears when you get sick .
Josep tells that when he looked in the mirror, in constantly together with his machine, he went through his 40 year life so full , a life, the one of an opera singer, as confirmed by Domingo as well, which is difficult because you are obliged to spend so much time away from family, as the hectic pace and the incredible opportunities are in those times of the year usually dedicated to the holidays, so to make you totally absorbed by the career. According to Dr. Rozman, he responded very well to chemotherapy, but soon the topic of bone marrow transplant would come out. At that time, the donor could be a brother 100% compatible, otherwise an auto transplant was necessary: to play down, Josep tells the other participants that he was so narcissistic that he underwent a transplant of his own bone marrow. As we know, Josep had been transferred to the Fred Hutschinson, a specialized center of Seattle which takes its name from a famous baseball player who died because of cancer: Rozman had made ​​arrangements with Dr. Edward Donnall Thomas, by sending to Seattle Dr Grañena that would take part into the extracting process. Seattle possessed an experimental treatment that could be crucial and that the time was not yet on the market in Spain; however , a secondary reason that favored his decision to move to Seattle was the media pressure Josep had to bear in Barcelona, ​​with continuous incursions of journalists disguised as nurses hiding cameras. Ramiro Giménez says that a newspaper published on its front page Josep's 'long agony', when no one had actually told that he was going to die: for this reason, Professor Ciril Rozman considered that people had right to know about Carreras as a singer, but not the intimacy of his illness, and that's why the press has been kept hidden most of the truth. The sitiation was so annoying that Albert Carreras had to act as a member of the Security of the clubs not to let anyone pass. In Seattle they followed a precise protocol, the only particular consideration towards Josep was aimed at preserving his vocal cords: certainly, he had never stopped taking care of his voice, but then priorities change, what matters most is life. In Seattle, as David points out, he had very hard times during the treatment, but his positive attitude toward the disease has proved fundamental: knowing the approximate duration of the sessions, he tried to spend those moments by whispering some opera aria considering its timing, and one of them was La fleur que tu m'avais jeté; music helps your spirit , and if the spirit of the patient is strengthened, therefore he will be able to better fight against the disease.
Speaking of music, Raquel says that his idol at that time was Sergio Dalma, as he gave her much strength, and made ​​her feel a privileged every time she was listening to him: what follows is a tender letter to a new idol, Santi Balmes, and the wonderful meeting with him in the dressing room before one his concert : Balmes would then dedicated her a song .
The next step is to ensure that, as unfortunately often happens, leukemia does not come back despite chemotherapy and radiotherapy: Josep spent about 50 days in a clean room to avoid contact with bacteria that could put health at risk, and even Raquel shares her experience of child who, during his stay in a sterile room , she could not simply tap her parents as only doctors and nurses was allowed to, until she told that she did no longer want to be washed by anyone except her mother, and when this happened it was an incredibly emotional event to her. 
Leo's parents  lived at the hospital where they had created a blog to share their story and look for a compatible donor for their son who, as he was not allowed to touch the ground, learned to walk on the bed where he had any other activity withvery few cleaned games, and has only recently learned to speak because for a long time he could not see the mouth of his parents, covered by the mask.
In the past the donor search was comparable to an adventure in the desert, until the Foundation committed in the program REDMO that, as explained by Josep Carreras and Antoni García Prat, director of the Foundation, is the registry of bone marrow unrelated donors, basically a software that connects patients and donors, only 35 computers around the world connected to each other whose goal is to find a donor for each patient. Pascual Balsalobre, Coordinator of Bone Marrow Transplantation at the Hospital Gregorio Marañón in Madrid, says that by the time of extraction , the bone must be re-injected within a maximum of 72 hours, a time generally sufficient to make transfers in Europe: the country which it travels with greater frequency is Germany. So he travels with a real treasure.

TO BE CONTINUED IN THE FOLLOWING POST BY MINUTE 38.

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