Josep Carreras i Màrius Carol al programa de TV3 8 al dia de Josep Cuní
Ho sentito la necessità di
guardarmi più di una volta la puntata di giovedì della trasmissione 8 al dia (interview) con Josep Cuní di TV3, dedicata al Libro di Memorie che Josep Carreras ha
scritto con Màrius Carol, libro che ha già esaurito la seconda edizione,
pubblicato da appena 20 giorni. Dicevo, l’ho riguardata più volte apprezzandone
l’indiscussa qualità, e l’abilità di Cuní nel proporre spunti interessanti e
originali dal libro. Mi scuso per l'ennesimo post lungo, ma questa merita davvero un approfondimento.
Nel presentare e motivare la
scelta che ha portato alla pubblicazione di queste memorie, Carreras specifica il
ruolo di Màrius Carol, il quale condivide con lui diversi aspetti della vita;
lo stesso Carol propone a Cuní, nel caso in cui voglia vivere un’emozione
forte, di andare allo stadio a vedere il Barça insieme a loro due, usando l’aggettivo
“impresentabili” nel fare riferimento al loro approccio, che però non si limita
allo scaldarsi o arrabbiarsi, ma arriva al suggerire soluzioni per rendere l’andamento
della partita più favorevole. E come puntualizza Carreras “i fan pensano di
intendersi di calcio”, ma sono pochi quelli che ne sanno veramente: Josep Carreras di
sé può dire di seguire il calcio da vicino da più di 50 anni, e di aver
desiderato essere un calciatore da piccolo, come tutti i bambini della
Catalogna; la differenza è che lui voleva essere tenore o calciatore, mentre,
come lo stesso Cuní segnala, il resto dei bambini catalani volevano essere
calciatori o pompieri.
La professione di tenore è quella
che a Carreras, non senza sforzi, ha aperto tutte le porte, e lo ha condotto in
giro per il mondo a contatto con culture, e mentalità diverse, permettendogli
di rendersi conto del fatto che ci sono cose con molto più peso specifico della
fama e della popolarità, e che le persone più interessanti non sono per forza
quelle che godono di queste, che siano politici, artisti, sportivi, o nobili.
E il più delle volte sono proprio gli appartenenti a queste categorie che vanno a salutare Josep Carreras dopo un concerto, e Cuní sottolinea la differenza tra “ricevere” queste persone ed “essere ricevuto” da queste. Sono i momenti di questo genere che secondo Carreras aiutano a classificare le persone e a valutare i loro elogi come sinceri o meno, e ovviamente il far parte di una società implica il doversi mostrare ben disposti anche nei confronti di chi non ti è simpatico.
E il più delle volte sono proprio gli appartenenti a queste categorie che vanno a salutare Josep Carreras dopo un concerto, e Cuní sottolinea la differenza tra “ricevere” queste persone ed “essere ricevuto” da queste. Sono i momenti di questo genere che secondo Carreras aiutano a classificare le persone e a valutare i loro elogi come sinceri o meno, e ovviamente il far parte di una società implica il doversi mostrare ben disposti anche nei confronti di chi non ti è simpatico.
Tra le foto presenti nel libro,
una con Walter Matthau, ammiratissimo da Carreras, e un’altra, la riproduzione
della lettera in cui Frank Sinatra ringraziava Carreras per l’omaggio resogli
al concerto dei Tre Tenori a Los Angeles nel 1994, la cui interpretazione lo
aveva molto emozionato. E dalle immagini è ben evidente. Frank Sinatra
emozionato da My Way cantata da Carreras, quando normalmente è sempre stato il
contrario: Josep ha sempre amato Sinatra, perché nel suo campo non c’è mai
stato un altro cantante come lui, che riuscisse a comunicare il significato dei
testi delle canzoni anche a chi non sapesse una parola d’inglese, e non da
ultimo questa sua tendenza di entrare quasi sempre con quel minimo ritardo sul
tempo della musica rende la sua interpretazione veramente fantastica. L’orchestra
dovrebbe seguire il cantante, e non il contrario: questo è possibile solamente
con un direttore molto musicale, amante e rispettoso delle voci… come lo è
stato anche Herbert von Karajan, per cui non era importante la sua autorità
come direttore, ma il risultato che voleva ottenere, e questo lo rendeva
speciale.
Nell’ambito politico due sono i
nomi che emergono dal libro: Felipe González, che è stato di gran aiuto
procurando impresari per la creazione della Fundació Josep Carreras, e Jordi
Pujol, di cui Carreras racconta un aneddoto che mette in luce la grande umanità
del politico, con la speranza che Pujol intenda le sue buone intenzioni nel
raccontarlo. L’ex Presidente della Generalitat si era interessato personalmente
alle condizioni di Josep Carreras ancora quando era ricoverato all’Hospital
Clinic, ed era andato a trovarlo a casa una volta tornato da Seattle. Un giorno
Carreras ha ricevuto una telefonata dalla Generalitat e gli hanno passato il
Jordi Pujol che voleva incontrarlo. Carreras spiega il dialogo che aveva avuto
con Pujol, soffermandosi sul suo stupore alla domanda dell’allora Presidente “com
està de diners” (Come sta a soldi?), spiazzato non sapeva come rispondere, ed è
divertente come lo racconta, soprattutto fa sorridere il suo “President… depend…
que m’ha de demanar alguna cosa?”
(Presidente… dipende… ma mi deve chiedere qualcosa?). Risulta che Pujol avesse
a cuore la situazione economica del tenore, per le conseguenze economiche di un
trattamento come quello cui si era sottoposto per combattere la leucemia. La
Generalitat di soldi non ne aveva, ma avrebbe fatto un’eccezione per dare una
piccola mano. Fortunatamente non era quello il caso, non c’era alcun bisogno.
Resta, sicuramente, un dettaglio che Josep Carreras non può dimenticare.
Josep Carreras: non una persona
che non ha paura, ma che sa controllare la paura scenica, un elemento
fondamentale per qualsiasi artista, specialmente per un cantante d’opera, per
cui è imprescindibile essere stabile. Il controllo della paura, nonostante sotto
certi aspetti sia indispensabile un certo grado di tensione, pressione o
nervosismo; un uomo che, a prescindere dal mondo artistico cui appartiene, non
ha superstizioni, se non sulla superstizione stessa, ma che tuttavia entra in
scena sempre con il piede sinistro.
Qualche volta ha avuto paura che
non uscisse la voce, ma è sempre uscita perché doveva uscire, perché in certi
momenti non bisogna essere egoisti, bisogna pensare nelle migliaia di persone
che sono tra il pubblico.
Una costante nelle sue esibizioni
è la senyera, la bandiera catalana plastificata che Carreras custodisce
orgogliosamente nella tasca della giacca, non tanto per ricordarsi di dov’è,
perché non potrà mai dimenticarlo, ma per avere qualcosa che rappresenti la sua
famiglia, il suo paese, la sua lingua… in definitiva che rappresenti la propria
identità come persona, come catalano, qualcosa di fondamentale importanza nella
sua vita.
La catalanità di Josep Carreras è
ineccepibile inequivocabile, un dato di fatto. E questa è la mia opinione
personale. Come afferma lui stesso, ognuno ha il diritto di dubitare, ma il
fatto che internazionalmente sia conosciuto come José è motivabile
storicamente: la sua carriera ha preso avvio nell’ultima fase del Franchismo,
quindi era impensabile godere la libertà di usare il proprio nome catalano,
Josep. Addirittura, chiamandosi Josep Maria, inizialmente usava l’intera
versione in castigliano José Maria, abbandonata dopo le osservazioni di un
simpatico e talentuoso direttore di scena, con tendenze omosessuali (il tenore
si dimostra rispettosissimo nel puntualizzare quest’ultimo aspetto), durante
una Traviata a Londra. Non era il caso, dopo la morte di Franco, fermare il
mondo per avvisare che d’ora in poi si sarebbe chiamato Josep. Del resto, dico
io, non solo in Catalogna lo chiamano Josep… chi conosce il suo nome, è libero
di scegliere di chiamarlo così, o pensarlo come Josep Carreras. Penso sia
abbastanza chiaro, ma questo blog è dedicato a JOSEP CARRERAS.
Come fa giustamente notare Josep
Cuní, la catalanità, l’attaccamento alle sue origini, sono inattaccabili se si
presta attenzione alla sua attività di promozione della canzone catalana nei
suoi concerti: un paio di brani, che siano di Toldrà o Mompou, o brani tradotti
in catalano come nel caso di T’Estimo di Grieg, non mancano mai. Come mai l’essere
continuamente in giro per il mondo gli farà correre il rischio che, una volta a
casa, non gli esca qualche parola in catalano, perché lui è catalano, pensa in
catalano, e la sua lingua è una parte molto importante della sua identità. E ci
mancherebbe.
Cosa può scoprire un lettore
qualsiasi da queste memorie che non sappia già? Probabilmente, soprattutto in
Catalogna, vige la convinzione che di Carreras ormai si sa già tutto. La verità
però, come risponde Josep, è che non si sa mai tutto delle persone, e che
valeva la pena, tra le oltre cose, chiarire un po’ la nascita, il funzionamento
e l’attività svolta dalla Fondazione che porta il suo nome e che lotta contro
la leucemia.
Un’altra cosa interessante non è
riscontrare il senso dell’umorismo che ha sempre fatto parte di Carreras, ma,
come sottolinea Cuní, fino a che punto questo può arrivare, alludendo al
momento del libro in cui si racconta che Josep salutava come una, vestito da
donna, a prua di una barca. Carreras cerca evidentemente di sorvolare su questo
aneddoto, insistendo però sull’importanza dell’umorismo nella vita delle
persone, e sulla capacità di saper ridere di sé stessi, forse la migliore forma
possibile di umorismo. Ovviamente, in compagnia di amici e della famiglia non
ama essere troppo “trascendente”.
L’ultima parte dell’intervista,
incentrata sulla sua battaglia contro la Leucemia. Le sue condizioni, una volta
diagnosticata la malattia, lasciavano evidentemente poche probabilità di
uscirne salvo; era consapevole di aver vissuto fino ai 40 anni una vita
meravigliosa, ma ciò che lo addolorava di più era pensare di non poter vedere
crescere i suoi figli, che all’epoca erano piccoli: questo però è stato anche
un motivo che lo ha spinto a lottare con grande determinazione, per non
lasciare la Júlia e l’Albert, e insieme a loro tutto l’intorno familiare, e la
gente, la stessa che in quel frangente non gli ha fatto mancare il proprio
affetto, e per la quale ha deciso di ringraziare creando la sua Fondazione.
Parola a Màrius Carol, che si
definisce arricchito dall’esperienza di coautore di questo libro di memorie, ma
soprattutto per aver instaurato un rapporto profondo con Josep Carreras, uno
spirito combattente, un uomo che guarda in faccia alla vita, e che è nato tre
volte: nel suo giorno di nascita vero e proprio, il 5 Dicembre del 1946,
sicuramente il superamento della malattia ha costituito una rinascita, ma
qualcosa che non tutti sanno è che Josep ha rischiato di morire anche con pochi
anni di vita, cadendo di faccia in uno stagno di Puigcerdà mentre stava
giocando. Se si è salvato lo si deve alla prontezza e all’istinto di sua madre,
Antònia Coll, che ha praticato la respirazione bocca a bocca rianimando il suo
bambino. Un uomo che non rinuncia a lottare, un coraggioso, che da ragazzino
nella camera che condivideva con suo fratello Albert, il maggiore, aveva appeso
due poster: Mario Del Monaco e Kubala, rappresentanti delle due sue grandi
passioni.
Come prova della sua
internazionalizzazione della canzone catalana, Cuní chiude il programma con un
frammento di una delle più belle, Rosó, cui Carreras da una dimensione quasi
sinfonica, nel concerto, trasmesso a posteriori dalla RAI, dei Giardini della Villa Reale di Monza nell’anno 2008,
accompagnato dalla Filarmonica di Praga diretta dal Maestro Miquel Ortega.
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